Gino De Dominicis
4 novembre 2023
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Gino De Dominicis, Lettera sull’immortalità
Roma, 10-9-1970
Cara... io penso che le cose non esistano. Un bicchiere, un uomo, una gallina, ad esempio, non sono veramente un bicchiere, un uomo, una gallina, ma solo la verifica della possibilità di esistenza di un bicchiere, di un uomo, di una gallina. Per esistere veramente le cose dovrebbero essere eterne, immortali, solo così non sarebbero solo delle verifiche di certe possibilità, ma veramente cose. Infatti modificandosi continuamente sono usate dalla "natura", che verifica attraverso le loro trasformazioni tutte le possibilità di cui dispone. Così, ad esempio, una gallina nel momento in cui adempie al suo "dovere naturale" di fare un uovo, cessa di essere una gallina, per diventare solo il mezzo attraverso cui la "natura" verifica la possibilità di esistenza dell'uovo, e quindi del mondo dei pennuti. Anche per il problema dello spazio è valida la stessa legge (sia per il macrocosmo che per il microcosmo). Nell'universo che si espande, o comunque che si muove, i pianeti e le stelle spostandosi occupano e "verificano" l'esistenza di nuovi spazi dimensionalmente a loro congeniali (in caso contrario si modificherebbero o si disintegrerebbero). L'uomo spinto anche lui dalla stessa "causa naturale" balza dalla terra e invade nuovi spazi. Una delle proprietà per cui un oggetto è tale è il fatto che con la sua presenza in un dato luogo impedisce ad altri oggetti di mettersi al suo posto. Dato che non esistono cose che rimangono eternamente nello stesso punto, smettono di essere degli oggetti, per diventare dei verificatori di certe possibilità spaziali quindi energia. Quello che per gli oggetti è un problema spaziale, per noi uomini è un problema temporale. Quando noi facciamo una qualunque azione, ad esempio una corsa, non stiamo veramente correndo ma stiamo solamente verificando la possibilità del correre e dell'esistenza della corsa, e passiamo questa esperienza immagazzinata alla "natura". Infatti, rispetto alla lunghezza del tempo di esistenza della nostra specie, quello che noi abbiamo a disposizione durante la nostra vita per usufruire di questa esperienza è limitatissimo. Per esistere veramente dovremmo fermarci nel tempo, e finalmente così iniziare noi stessi a vivere, quindi essere noi stessi, e per noi stessi, a verificare. L'uomo in altre epoche non disponeva di una tecnologia e di scienze avanzate come le nostre, per questo anche la possibilità di a ffrontare la morte con qualche probabilità di successo era molto più limitata. Ha sempre parlato idealmente di vita eterna, oggi naturalmente si parla ancora di vita eterna, con la differenza che abbiamo la possibilità di raggiungerla. Infatti dovremmo indirizzare tutti i nostri sforzi e le nostre possibilità (in particolar modo quelle scientifiche e tecnologiche) verso questo unico scopo. Quelli che per l'uomo una volta erano solo dei mezzi (per uscire vittorioso dall'eterna lotta contro la natura) oggi sono diventati degli scopi, abbiamo perduto l'iniziale sgomento e le corrispondenti spontanee reazioni, e siamo diventati dei pazzi che corrono su una palla che vaga nello spazio. La paura della morte è stata sempre sublimata o usata dai poeti, filosofi, religioni, artisti, ma mai affrontata con la necessaria freddezza. La maggior parte delle attività dell'uomo che oggi sono ingiustificate, sarebbero logiche per lui solo dopo aver raggiunto l'immortalità; perché solo allora potremmo permetterci degli obiettivi fantastici e irrazionali volti solo a procurarci della gioia (arte, ricerca scientifica etc.). Oggi la biologia ha intravisto il modo con cui poter intervenire sul- le cellule che sono alla base della deteriorizzazione del corpo umano, cioè di quel processo che porta inevitabilmente alla morte. Purtroppo pochissime sono le persone, rispetto al numero degli abitanti della terra, che si occupano di queste ricerche. Dovremmo tutti lasciare una qualunque altra attività come ad esempio, voli spaziali, ricerca artistica, costruzioni di armi etc. (tranne quelle che consentono la nostra sopravvivenza), e dare tutti il nostro contributo con le nostre capacità, o "inventandocene" delle altre.
Nello spazio di venti anni, con uno sforzo quasi collettivo, si potrebbe arrivare a sconfiggere la morte naturale. Naturalmente in seguito dovrebbero essere fermate le nascite finché non avremo trovato altri pianeti o altre possibilità sulla terra di vita. Tutte le guerre e tutti i rancori dell'uomo derivano da una inconscia paura e coscienza della morte. L'uomo ha iniziato la sua evoluzione difendendosi dalle circostanze e dall'ambiente sfavorevole creandosi lui stesso i mezzi di difesa. Curiosamente dal momento in cui riuscì a sconfiggere le più vistose calamità, man mano che passava il tempo, si abituava all'idea della morte naturale come una cosa inevitabile, e la distrazione dall'ultimo pericolo e dall'ultimo problema non risolto aumentava proporzionalmente ai nuovi interessi. Ad ogni mezzo di difesa inventato dall'uomo è sempre corrisposto un parallelo mezzo di offesa, anche oggi esiste questo precario equilibrio, con la differenza che i mezzi di offesa adesso hanno la possibilità di distruggere completamente ogni forma di vita sulla terra. Per questo è necessario più che mai indirizzare tutte le possibilità di cui disponiamo verso un ideale estraneo ai normali impulsi e aspirazioni dell'uomo. Il fatto di fare figli (si fanno nascere altre cose perché non si ha la possibilità di vivere sempre, e forse non si ha questa possibilità proprio perché si fanno nascere altre cose) è un modo di raggiungere l'eternità, con la differenza che in questo modo essa è raggiunta dalla specie umana e non dall'uomo. La coscienza che noi siamo già dei figli dovrebbe farci capire che potremmo essere noi stessi ad utilizzare le esperienze che facciamo, ad essere noi stessi ad utilizzarle nel futuro. Da un po' di tempo, rivolgo un maggiore interesse a quelle personalità che più hanno preso in considerazione questo problema, e che hanno capito e interpretato l'assurda e incomprensibile situazione dell'uomo sulla terra, anziché verso coloro che hanno cantato le bellezze e le certezze della vita. Anche perché il fatto che valesse la pena di vivere tutti gli uomini lo hanno sempre capito. Da sempre l'umanità si è creata degli ideali a cui credere, dei motivi cioè che riuscissero a dare un senso alla vita, quasi sempre si è trattato di pretesti che rendevano possibile un'unione di certe persone con altre, quasi sempre contro altre o in favore di altre, magari inventate. L'uomo ha sempre fatto finta di non essere stato lui stesso ad inventare questi motivi, e che quindi da lui non potevano essere completamente controllabili, ma inevitabilmente decisi dalla natura. Questi ideali fatalistici ai quali ha sempre finito di credere, non l'hanno mai unito agli altri suoi simili proprio perché inconsciamente sentiva che si trattava di ideali fantastici, e dai quali difficilmente avrebbe potuto trarre dei vantaggi reali e duraturi come uomo. Solo un ideale superiore, non fatalistico (anche se naturale), può unire indiscriminatamente tutti nello sforzo per raggiungerlo. Raggiungendo l'immortalità l'uomo, forse per la prima volta dalla sua comparsa sulla terra, potrebbe veramente e indiscutibilmente differenziarsi dalle altre specie viventi. Fermandosi nel tempo ad un'età da lui scelta, e interrompendo l'invecchiamento, romperebbe l'incantesimo della dimensione più misteriosa che regola l'universo, e questo sarebbe il primo vero passo verso la possibilità di una maggiore comprensione della vita. Spero un giorno di prendere un bicchiere, riempirlo di vino e bere, e di portare a passeggio una gallina, ed essere veramente io a farlo.
Tuo affezionatissimo
Gino De Dominicis